Cara Italia! dovunque il dolentegrido uscì del tuo lungo servaggio;dove ancor dell'umano lignaggioogni speme deserta non è;dove già libertade è fiorita,dove ancor nel segreto matura,dove ha lacrime un'alta sventura,non c'è cor che non batta per te.Quante volte sull'Alpe spiastil'apparir d'un amico stendardo!quante volte intendesti lo sguardone' deserti del duplice mar!ecco alfin dal tuo seno sbocciati,stretti intorno a' tuoi santi colori,forti, armati de' propri dolori,i tuoi figli son sorti a pugnar.Oggi, o forti, sui volti baleniil furor delle menti segrete:per l'Italia si pugna, vincete!il suo fato sui brandi vi sta.O risorta per voi la vedremoal convito de' popoli assisa,o più serva, più vil, più derisasotto l'orrida verga starà.Oh giornate del nostro riscatto!oh dolente per sempre coluiche da lunge, dal labbro d'altrui,come un uomo straniero, le udrà!che a' suoi figli narrandole un giorno,dovrà dir sospirando; io non c'era;che la santa vittrice bandierasalutata quel dì non avrà.
Questa poesia, composta agli inizi del Risorgimento, venne pubblicata solamente nel 1948, dopo le Cinque Giornate di Milano che sancirono la liberazione dagli austriaci. Proprio contro il dominio straniero Manzoni rivolge questa accorata esortazione affinché gli italiani combattano per la loro libertà.
Manzoni, precorrendo i tempi, come sempre fanno i grandi artisti, aveva percepito l'urgenza degli italiani di porre fine alla loro condizione di dipendenza, e aveva intuito che erano maturi i tempi in cui combattere per il riscatto, per la rivincita. Gli italiani mostrano un sentimento patriottico nuovo: all'orgoglio per la propria terra si unisce il coraggio di combattere per essa, anche fino alla morte se necessario, sacrificando la propria vita per garantirle un futuro di libertà.
Manzoni sottolinea come tutta l'Italia, da nord a sud, sia pronta a scendere in campo contro il nemico dominatore.
E' un grido di libertà, quello lanciato da Manzoni, che travalica i confini della penisola: come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, "la causa dell'Italia segna in qualche modo la fine degli egoismi nazionali, è la causa di tutti gli uomini che aspirano alla libertà" ("Corriere della Sera", 17/03/2011).
Manzoni, precorrendo i tempi, come sempre fanno i grandi artisti, aveva percepito l'urgenza degli italiani di porre fine alla loro condizione di dipendenza, e aveva intuito che erano maturi i tempi in cui combattere per il riscatto, per la rivincita. Gli italiani mostrano un sentimento patriottico nuovo: all'orgoglio per la propria terra si unisce il coraggio di combattere per essa, anche fino alla morte se necessario, sacrificando la propria vita per garantirle un futuro di libertà.
Manzoni sottolinea come tutta l'Italia, da nord a sud, sia pronta a scendere in campo contro il nemico dominatore.
E' un grido di libertà, quello lanciato da Manzoni, che travalica i confini della penisola: come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, "la causa dell'Italia segna in qualche modo la fine degli egoismi nazionali, è la causa di tutti gli uomini che aspirano alla libertà" ("Corriere della Sera", 17/03/2011).
Riporto per completezza anche la parte iniziale di questa splendida poesia.
RispondiEliminaAlessandro Manzoni
Marzo 1821
Soffermàti sull’arida sponda,
Vòlti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: Non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere;
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
Del Ticino e dell’Orba selvosa
Scerner l’onde confuse nel Po;
Chi stornargli del rapido Mella
E dell’Oglio le miste correnti,
Chi ritogliergli i mille torrenti
Che la foce dell’Adda versò,
Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor:
Una gente che libera tutta,
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
Con quel guardo atterrato ed incerto,
Con che stassi un mendico sofferto
Per mercede nel suolo stranier,
Star doveva in sua terra il Lombardo;
L’altrui voglia era legge per lui;
Il suo fato, un segreto d’altrui;
La sua parte, servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia, e il suo suolo riprende;
O stranieri, strappate le tende
Da una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
Dal Cenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
Sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V’accompagna all’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera, e pera
Della spada l’iniqua ragion.
Se la terra ove oppressi gemeste
Preme i corpi de’ vostri oppressori,
Se la faccia d’estranei signori
Tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio, ed il colpo guidò;
Quel che è Padre di tutte le genti,
Che non disse al Germano giammai:
Va’, raccogli ove arato non hai;
Spiega l’ugne; l’Italia ti do.
E' stato riedito presso Einaudi il libro "L'italiano" di Giulio Bollati
RispondiEliminaAbbondano sui vari organi le secolari domande imbranate che i forestieri passanti e viandanti usano rivolgere a qualche conoscente italiano d'occasione: Come mai siete da secoli calpestati e derisi?Perchè non siete popolo?Perchè siete divisi? Domande tipicamente da rivolgere a qualunque bar sport, che proprio lì dà le sue risposte.
RispondiEliminaAncora sul carattere degli italiani: Giacomo Leopardi nel 1824 scrive nel suo DISCORSO SOPRA LO STATO PRESENTE DEL COSTUME DEGLI ITALIANI:gli italiani sono nella pratica molto filosofi, perchè convivono con la cognizione della vanità di ogni cosa;conosciuta la miseria della vita e la mala natura degli uomini, il più savio partito è quello di ridere indistintamente e abitualmente di ogni cosa e di ognuno. Così gli italiani ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa nessun'altra nazione (...) Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni...
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